Don Croce

Peccato che non l’hai conosciuto, Rosina, don Croce. Ti sarebbe piaciuto a mille don Croce, come piaceva a mille a me. Avercelo avuto come parroco, da piccola, a don Croce non gli avrei fatto tutti gli scherzi che facevo a don Boero. Don Croce ha deciso che era ora di andare. Se ne sarebbe andato anche senza la pandemonia. Lui aveva deciso che era ora di andare già a novembre quando ha lasciato a don Dino la direzione della Gazzetta d’Asti. Se non era ora di andare sta cippa che lasciava la direzione della Gazzetta d’Asti a don Dino. Don Dino se la sognava la direzione della Gazzetta d’Asti! Ma era ora di andare e don Croce lo sapeva che era ora di andare. E ha fatto come diceva sempre Gigi Rosso: vai sempre via un minuto prima che ti mandino via. Don Croce ha fatto proprio così: è andato via un minuto prima che lo mandassero via. Perché don Croce era intelligente a mille. Di don Croce mi è sempre piaciuta a mille la sua intelligenza. Che don Croce non cercava mai di convincerti che esiste dio. Da parroco avrebbe dovuto convincerti che dio esiste, ma lui era scaltro e lo sapeva che se cercava di convincerti tu poi gli dicevi che non eri convinto. E allora lui faceva finta di niente e parlava d’altro. Parlava di tutto don Croce e sapeva anche tutto. Poteva parlare e sapeva anche tutto del festival di Sanremo come del calcio, della teologia come delle nocciole. Don Croce sapeva anche tutto del dialetto astigiano. Perché don Croce era un prete nato in campagna e i preti nati in campagna imparano prima il dialetto che l’italiano. Aveva scritto anche un libro su darsi dei nomi in dialetto astigiano. Sì, sì, proprio darsi dei nomi. C’erano anche brutte parole in quel libro. Non so se in Curia la sanno questa cosa di don Croce, ma voi fate finta che non avete sentito. Don Croce parlava di tutto, ma su una cosa proprio non lo facevi ragionare: le previsioni del tempo. Sulle previsioni del tempo, non c’era santo che tenesse: a don Croce non lo facevi ragionare. Non c’azzeccava mai sulle previsioni del tempo. A Enzo gli scappava la maionese quando fuori nevicava e don Croce diceva che: no, quel giorno non avrebbe nevicato. Ma nevicava eh! Don Croce era aperto a tutto tranne che alle previsioni del tempo. Enzo dice che sulle previsioni del tempo, veniva fuori il suo essere teologo. Le previsioni del tempo erano il dogma di don Croce. Enzo e don Croce bisticciavano spesso sul dogma delle previsioni del tempo. Le previsioni del tempo non erano l’unico dogma di don Croce. C’erano anche i capelli. Don Croce portava il parrucchino. Che sembrava quasi nato con il parrucchino, don Croce. Che Miravalle che l’ha intervistato per Astigiani a dicembre, gliel’ha chiesto: che ne è stato dei suoi capelli? Mi sono immaginata mentre gli faceva la domanda a don Croce, mia mamma da dietro che gli tirava uno scappellotto a Miravalle. Mia mamma, da piccola, mi avrebbe tirato uno scappellotto se facevo una domanda così a don Croce. Ma don Croce gli ha risposto che, niente, i capelli li aveva persi tutti nel 1967, che aveva freddo alla testa e allora ha messo il parrucchino. Non erano un dogma come le previsioni del tempo, i capelli. Miravalle gli avesse fatto una domanda sulle previsioni del tempo, don Croce non avrebbe risposto. Su questo, Enzo è sicuro. E adesso vi racconto cos’è successo a me una volta che c’entra don Croce. Una volta, a Ferragosto, non ricordo più l’anno ma sarà stato il 2006 o il 2007 o il 2008, è venuto al Colle Don Bosco don Pascual Chavez. Don Pascual Chavez era il rettore maggiore dei salesiani. Mi aveva telefonato don Luigi Basset, che allora era il rettore del Colle Don Bosco, per mettere una notizia sulla Stampa all’ultimo momento. Sapete come succede all’ultimo momento, no? È quasi Ferragosto e tu stai per partire per il mare, e don Luigi Basset ti telefona per mettere una notizia di don Pascual Chavez, il rettore maggiore dei salesiani, che viene al Colle Don Bosco a Ferragosto. La notizia è uscita ma la foto non era di don Pascual Chávez. La foto era di Hugo Chavez, il presidente comunista del Venezuela. Che aveva anche il pugno alzato e il cappello rosso con la stella quella di Che Guevara. Se andate a leggerla, la Stampa di Asti, del 15 agosto 2006 o 2007 o 2008, non mi ricordo più, la trovate la foto. Hanno cominciato a telefonarmi già alle 8 del mattino di quel Ferragosto che c’era la foto del Chavez comunista invece che il Chavez salesiano. Don Croce non mi aveva telefonato per la questione del Chavez sbagliato. Gli avevo telefonato io per scusarmi con lui e con il vescovo del Chavez sbagliato, ma don Croce rideva. Proprio così: don Croce rideva. E io me lo immagino anche oggi così, mentre se ne va camminando come piaceva a lui, che sa che il suo migliore amico don Franco Cartello lo aspetta e che finalmente non dovrà più bisticciare con Enzo sulle previsioni del tempo. Me lo immagino così don Croce che si gira, ci guarda, ride e se ne va.