Don Boero Cornacchione

don boero

Oggi, la Rosina e io, raccogliamo una richiesta di Maurizio, che vuole che parliamo di Refrancore. Bene, oggi voglio accontentarlo Maurizio. Lui, a Bergamo, ha più bisogno di noi di un momento lieve. E allora lasciate che lo accontenti Maurizio. Oggi vi parlo di Refrancore, che adesso abito a Viarigi, ma prima abitavo a Refrancore. Ma non vi parlo di Refrancore. Vi parlo di un personaggio di Refrancore. Don Giovanni Boero. E qualcuno di Refrancore, vi vedo eh, avrà già smesso di leggere. Perché avrà pensato che questo post non fa ridere. E, invece, io vi dico che questo post fa ridere a mille che tanto ormai i reati sono caduti in prescrizione. Don Boero era alto, robusto, con le mani grandi, sempre vestito di nero. Aveva un vocione forte che se parlava in chiesa, lo sentivi fino in Valvinera. Quelli di Valvinera non dovevano neanche venire a messa la domenica che lo sentivano da casa con la voce che aveva. È stato parroco di Refrancore per 34 anni, dal 1955. A me, Don Boero non mi stava già tanto simpatico da piccola piccola. Perché quando andavo a messa con mia nonna nella chiesetta di Barcara, lui faceva sempre e solo andare la Rosanna nell’alto dei cieli. La Rosanna che prima era la Rosanna del Centro sociale perché lavorava al Centro sociale, adesso è la Rosanna del Comune perché lavora in Comune. E io mi chiedevo perché tutte le domeniche dovesse sempre andare solo lei, la Rossana, nell’alto dei cieli. E, ad esempio, non potesse andare una volta sua sorella Laura e una volta l’Albina, la mamma della Rosanna e della Laura. No, sempre solo la Rosanna. E allora, da piccola piccola, pensavo che don Boero fosse uno che faceva le preferenze e non mi era tanto simpatico. Poi sono cresciuta ed ero io che non gli ero più tanto simpatica a lui. Ma di riflesso perché mio papà era il sindaco di Refrancore e peggio: era un sindaco comunista. Che la casa di riposo degli anziani a Refrancore non si chiama Villa Arzilla o Villa Felice, come una qualsiasi altra casa di riposo per anziani che si rispetti, ma si chiama Centro sociale che sembra che fanno i rave party al Centro sociale. A sai, oggi, vado a trovare mio nonno. Dove? Al Centro sociale di Refrancore. Ganzo il nonno! Perché mio papà era comunista e, in Russia, si vede che le chiamavano Centri sociali le case dei nonni. Don Boero non gli sarà andato giù che la casa dei nonni l’hanno chiamata Centro sociale. E allora io, di riflesso, non gli ero particolarmente simpatica a mille. Don Boero, in chiesa, suonava l’organo e cantava le canzoni. Al catechismo ci cantava “Giovinezza”. Per dirvi, l’empatia che aveva Don Boero nei confronti dei giovani, vi racconto un episodio. Erano i giorni prima di Natale, sarà stata la fine degli Anni 80. Una sera un gruppo di giovani gli ha fatto scoppiare dei petardi sul sagrato della chiesa e lui, in tutta risposta, è arrivato al bar con la pistola. Aveva uno spiccato spirito natalizio, don Boero. Ma fin qui, a me di don Boero me ne fregava assai. Ha cominciato a fregarmene di don Boero, quando ho scoperto che odiava i gatti. Lui odiava gli animali in generale, ma in particolare i gatti. Anche i gattini, quelli piccoli, lui proprio non li poteva vedere e li cacciava. E allora da quel momento, quando ho capito che lui odiava i gatti, ho cominciato a sentir nascere in me uno spirito di vendetta. E da quel momento, la vita di don Boero è cambiata. E adesso ve lo posso raccontare che tanto i reati sono caduti in prescrizione. Ho cominciato a escogitare che scherzi fargli, che a me escogitare gli scherzi mi diverte a mille, per vendicare i gatti. Non vi racconto tutti gli scherzi che gli ho fatto, che sarebbe troppo lungo. Ma ve ne racconto solo due, che qualcuno se li ricorderà ancora. Il primo: un sabato notte, con la mia socia Donatella, che a Donatella i gatti le piacciono assai, gli abbiamo riempito il tabernacolo di lucertole vive. Povere lucertole! Ma che poi si sono salvate tutte da don Boero. Donatella e io sapevamo dove la Delfina, che teneva in ordine la chiesetta di Barcara, metteva le chiavi. Entravamo in chiesa quatte quatte. Come il coronavirus. E quella sera gli abbiamo riempito il tabernacolo di lucertole vive. La domenica, nella chiesetta di Barcara, c’era la messa. Don Boero faceva prima la messa nella chiesetta di Barcara, poi la messa più importante a Refrancore. Quel giorno quando ha aperto il tabernacolo e sono uscite tutte le lucertole vive, don Boero ha fatto un urlo che tutti si sono alzati per scappare dalla chiesetta di Barcara. Le lucertole hanno cominciato a correre per tutta la chiesa e tutti che urlavano e uscivano dalla chiesa. Noi non lo volevamo fare a tutti lo scherzo, ma solo a don Boero. Ma c’è venuto bene abbastanza bene come scherzo. Un altro sabato, invece, ho un po’ esagerato, lo ammetto. Perché don Boero, nel calice, teneva sempre un buon moscato, ma proprio buono. Quel moscatello bello fresco che ti fa piacere berne due dita, anche tre. E allora noi glielo abbiamo bevuto tutto un sabato sera. E poi ecco scoccare l’idea del maligno. L’abbiamo riempito con un altro liquido che non era proprio moscato, ma nel colore gli assomigliava. Quella volta don Boero si è arrabbiato a mille, ma proprio a mille. E mi ha mandato i carabinieri a casa. E allora, il maresciallo di allora che adesso è uno importante e quando mi vede ride ancora, mi faceva le domande e io negavo. E lui rideva sotto i baffi. Che non ce li aveva i baffi, ma io lo vedevo che rideva il maresciallo di allora perché il maresciallo di allora forse amava i gatti e forse don Boero non gli stava tanto simpatico. Che tanto mica potevano saperlo che ero io. Ma don Boero, nel suo cuore, lo sapeva che ero io. Vi ricordate quando c’era il giorno delle confessioni? C’erano due file per confessarsi a Refrancore: una con don Boero e una con don Giacomo Cauda, il parroco di Castagnole Monferrato. Io mi mettevo sempre in fila da don Giacomo Cauda, che don Giacomo Cauda mi era simpatico a mille perché lo incontravo sul trattore nelle sue vigne e mi parlava di Sant’Agostino. Che poi, l’ho letto tutto Sant’Agostino grazie a don Giacomo Cauda. Don Boero mi vedeva da lontano in fila da don Giacomo Cauda e mi faceva con la mano “vieni, vieni qui da me”. Voleva sapere, don Boero. Non ho mai ceduto, neppure nel confessionale. Avevo escogitato questo trucco: per ultimo, confesso le bugie così mi tolgo anche quelle del confessionale. Non se n’è mai accorto, don Boero, che avevo escogitato questo trucco di dire per ultime le bugie. Comunque, lui, in cuor suo, lo sapeva che ero io. Don Boero è morto tanti anni fa, nel 1999. Penso di essergli anche mancata negli ultimi anni, che non gli facevo più gli scherzi. E penso che Gesù lo abbia messo a servire nel paradiso dei gatti vecchi, brutti, storti, con le orecchie mozze e che puzzano tantissimo come Nonno Rino. Ma don Boero, qualcosa di buono, alla fine me l’ha lasciato. Tanti anni fa, quando ero piccola piccola che credevo che solo la Rosanna potesse andare nell’alto dei cieli, don Boero mi raccontò la storia di San Martino, che è il santo protettore della chiesetta di Barcara. Nell’abside c’è un grande affresco che ritrae San Martino mentre porge la metà del suo mantello al povero seminudo. Da allora, san Martino è un santo che mi è simpatico assai. Non come san Francesco, ma comunque san Martino viene subito dopo san Francesco nel livello di simpatia. E da allora ho pensato che, nella vita, doveva ispirarmi san Martino, che mio papà ha sempre pensato che io mi ispirassi più agli americani. Perché mio papà, che era comunista e che adesso non è neanche più comunista e non sa esattamente che cos’è, pensa che chi spende, sia solo americano. D’altronde è uno che ha chiamato una casa dei nonni, Centro sociale. Ma se san Martino fosse ancora vivo oggi, spenderebbe come me e dividerebbe con gli altri quello che ha. A me questa cosa di dividere con gli altri quello che ho è sempre piaciuta assai. Come a San Martino. E allora, don Boero qualcosa di buono, alla fine, l’ha fatto anche con me. Che quando vado a trovare i miei nonni al cimitero di Refrancore, mi fermo lì all’ingresso, sulla destra, dove c’è la sua grande tomba nera. Nera come era lui e io lo saluto con un affettuoso: ciao, don Cornacchione! E lui so che ora, da lassù, mentre serve nel paradiso dei gatti vecchi, brutti, storti, con le orecchie mozze e che puzzano tantissimo, ride tantissimo