Il pranzo di Pasqua

La Rosina e io stiamo già pensando al nostro pranzo di Pasqua. Voi ci avete già pensato al vostro pranzo di Pasqua? Vi vedo, eh, che pensate di mangiare l’agnellino a Pasqua. Mia nonna, l’agnellino, lo chiamava il bigin. E anche a me, mia nonna che si chiamava Rosina come la Rosina, mi chiamava bigin. E allora la Rosina e io, il bigin, a Pasqua, proprio non ci viene di mangiarlo. E quando pensi al pranzo di Pasqua, pensi allo spatuss. Che come ve lo traduco lo spatuss? Il lusso, il fasto. Pensate a una tavola ricca, colorata, piena di cose buone ma così buone che neanche a Natale. Perché a Natale fa freddo, a Pasqua invece fa già caldo. E se fa caldo, ti sembra tutto più bello e più buono. Questa Pasqua è la prima Pasqua che c’è la pandemonia, come dice il Tavijn. Il Tavijn è Ottavio per noi piemontesi. Ottavio Verrua, ve l’ho già detto, è il papà di Nadia, la mia migliore amica di Scurzolengo. Loro hanno le vigne e la cantina, e fanno il vino. Il Tavijn, il coronavirus, lo chiama pandemonia che, secondo me, rende bene l’idea di cosa stiamo vivendo. Ma io non vi voglio parlare della pandemonia, vi voglio parlare di una volta che Nadia mi ha invitata a pranzo da Teresa, sua mamma, e dal Tavijn. Quella volta mi hanno invitata a pranzo e per pranzo c’era la polenta e un padellino con un po’ di bagna d’l diaù, la salsa rossa con aglio, acciughe, un po’ piccante. Di polenta, ce n’era una fettina sottile sottile e di bagna d’l diaù considerate un paio di cucchiai a testa scarsi. E io pensavo che quello era l’antipasto. Che quando ho chiesto cosa c’era da pranzo, mi stavano già servendo il caffè. E allora capisci perché sono tutti magri nella famiglia Verrua. Loro mangiano poco, poco. Che quella volta pensavo che tirassero fuori la saracca. Sapete cos’è la saracca? La saracca era una sardina secca secca appesa su cui, una volta, si sfregava la polenta per avere almeno un po’ di sapore alla polenta. Ecco la famiglia Verrua sembra che tirino fuori la saracca da un momento all’altro. Pandemonia o non pandemonia, a loro, cambia niente. Mangiano sempre poco e, anche se ce l’avesse il Tavijn, uno yacht, non saprebbe cosa farsene di uno yacht. Che se lo vende e gli danno i soldi, lui non sa cosa farsene neanche dei soldi. Lui preferisce la sua zappa e la sua vigna. E anche la Teresa, se le parli della pandemonia, fa spallucce. La Teresa mi ha insegnato a fare la minestrina all’aglio, ma dice che io ne faccio una versione “spatuss”, da ricchi, perché metto anche l’olio e il peperoncino. Lei proprio solo l’aglio a bollire nell’acqua. La minestrina aglio, olio e peperoncino, io, la provo per Villa Arzilla. Perché quando siamo vecchie, con Nadia e le altre mie migliori amiche, vogliamo fare Villa Arzilla qui alla Butte. Ci prendiamo un bel badante comune e ci facciamo anche una sala refettorio dove non manchi mai il vino. Che ai vecchi, nelle case di riposo, il vino lo tolgono. Ma noi lo vogliamo anche da vecchie il vino. E allora io sperimento le ricette di Villa Arzilla. L’unica che non faremo mai cucinare è Nadia. Voi fate finta che io non ve l’ho detto, ma Nadia quando cucina scatena la pandemonia! Certi suoi piatti sono rimasti nella storia come una crostata che era bruciata sotto e cruda sopra. Un capolavoro di pandemonia. Quando dobbiamo minacciare qualcuna delle nostre amiche nei tempi del coronavirus, le diciamo: guarda che ti facciamo portare il pranzo a domicilio da Nadia. Fa più brividi del fantasma! Io cucino un po’ meglio di Nadia. Lei è più brava a far tante cose, ma a cucinare sono più brava io. Mi ha insegnato mia mamma. Che mia mamma, della cucina, ha una concezione tutta sua. Quando mia mamma ti dice: “Eh, ma è solo verdura!”, lì davanti hai di sicuro un piatto di insalata russa. Per mia mamma, l’insalata russa è solo verdura. E quando faceva la dieta e c’era scritto il tal giorno mangiare verdura, lei mangiava l’insalata russa. E non capiva perché non dimagriva, mia mamma. Mia mamma, sempre per farvi capire la concezione della sua cucina, ha teorizzato la filosofia della bignola. Sapete cosa sono le bignole? Ve la dico male, sono i pasticcini nel pirottino, che il pirottino è una parola che usa solo più Sergio e sarebbe l’involucro di carta della bignola. La filosofia della bignola di mia mamma è questa: la bignola non dev’essere piccola. La bignola è grande. Se è piccola, non è una bignola. E per sapere se è o non è una bignola, tu devi mordere dentro la bignola, guardarla e poi rimordere dentro. Se invece, la metti tutta in bocca subito, non è una vera bignola. Non fatevi ingannare, dice mia mamma. Magari è anche buona, eh, ma non è una bignola. Una volta, mia mamma e la sua amica Gabri hanno mangiato un cabaret di bignole e, poi, sono state male. Io alle bignole, preferisco i dim sum. I ravioli cinesi. Che se c’è una cosa che mi manca, in tutta sta pandemonia, è andare a mangiare il cinese. Io vado al Ristorante Cinese Hai Ou a mangiare il cinese. Da Hai Ou, ci sono Susanna e Roberto. Che forse non si chiamano Susanna e Roberto, ma noi tutti li chiamiamo così. Susanna e Roberto sono gentili e mi mancano. Quando finisce sta pandemonia, faccio il buon proposito che vado subito a mangiare i loro ravioli cinesi. Che sapete che io faccio solo buoni propositi che poi posso mantenere. A me piacciono i ravioli di gamberi al vapore. Li ho cucinati stasera per la Rosina. Non sono buoni come quelli di Susanna e Roberto, ma mi consolo e mi dico: pensa li avesse fatti Nadia!