Storie di Resistenza

Storie di Resistenza

Il 25 Aprile, nella mia famiglia, è sempre stata la festa più importante dell’anno. Più di Pasqua, più anche del Natale. Mia nonna che si chiamava come la Rosina, quando ero piccola per farmi stare brava, sapeva che o mi dava le forbici oppure mi raccontava le storie della Resistenza. A darmi le forbici, di solito preferiva raccontarmi le storie della Resistenza. Con le storie della Resistenza, stavo brava. Mia nonna Rosina mi raccontava le storie della Resistenza della mia famiglia. Che nella mia famiglia, mi raccontava mia nonna Rosina, avevano fatto 78 anni tra confino, prigionia e partigiani. Lei li aveva contati: 78 anni, la vita di un uomo, diceva mia nonna Rosina. Non ho mai fatto il calcolo se fossero davvero 78 anni, la vita di un uomo, gli anni di confino, di prigionia e da partigiani della mia famiglia. Ma penso che, con 78 anni, non siamo lontani dal vero. Per capire tutto parto dal mio bisnonno Tunin. Il mio bisnonno Tunin era di Fubine ed era definito nelle carte dei fascisti un «fervente» socialista. Il mio bisnonno Tunin, nel 1903, decise che mio nonno si doveva chiamare Galileo. Galileo come Galileo Galilei. Il mio bisnonno Tunin era un progressista e amava la scienza già nel 1903 e mio nonno voleva chiamarlo come Galileo Galilei. Che la sento la mia bisnonna Rusin: ma Tunin santo, ma con tutti i nomi del calendario dei santi, ma proprio come Galileo Galilei dobbiamo chiamarlo questo povero bambino che il prete poi non ce lo battezza? Niente, Tunin aveva deciso: si chiamerà Galileo. Galileo è poi diventato il papà di mia mamma. Anche nel 1938, il giorno delle leggi razziali, una famiglia di ebrei di Fubine voleva scappare. E il mio bisnonno Tunin, allora, decise che compravamo noi la tomba ebraica del cimitero di Fubine. Che la sento la mia bisnonna Rusin: ma Tunin santo, ma con tutte le tombe che possiamo comprare nel cimitero di Fubine, ma proprio quella tomba lì con il candelabro ebraico dobbiamo comprare che sono uscite adesso le leggi razziali? Niente, Tunin aveva deciso: la tomba ebraica del cimitero di Fubine la compriamo noi così quella famiglia di ebrei può scappare. E quella tomba ebraica del cimitero di Fubine è ancora oggi dei Longo, che sono la mia famiglia di Fubine. Parlandovi del mio bisnonno Tunin, capite già perché i fascisti scrivevano che la mia era una famiglia dove «si allevano cospiratori». Il più importante dei cospiratori della mia famiglia era Luigi Longo, che alla Rosina gliene parlo perché so che le piace lo pseudonimo da partigiano: Luigi Longo era il comandante Gallo. Fu lui a fondare e a comandare le Brigate internazionali prima e le Brigate Garibaldi dopo, insieme a Secchia, Pajetta, Amendola e Carini. Nella mia famiglia, il comandante Gallo era semplicemente Uisin. Rosina, diceva mio nonno Galileo a mia nonna, fai gli agnulot che domenica arriva Uisin. Uisin fu anche il segretario del PCI, quando il nonno di Valentina, Davide, era direttore dell’Unità. Il destino ha voluto che io e Valentina diventassimo amiche. Di Uisin, si sono dette e scritte tante cose. Di Uisin, si dice anche che fu lui a far fuori Mussolini. Non è una cosa di cui nella mia famiglia si parla volentieri, ma voi fate finta che non avete sentito che ve l’ho detto. A me questa cosa che fu Uisin a far fuori Mussolini, mi fa pensare che se durante la pandemonia, avessi dovuto fare il tampone a Mussolini, io avrei chiamato la mia amica medico Giuliana e le avrei detto: Giuli, per favore, strusalo un po’ per terra il tampone della pandemonia prima di farlo a Mussolini vah. Uisin combatté anima e corpo contro i fascisti. Uno che proprio non si potevano soffrire era il generale Ugo Cavallero. Che destino anche con la nipote di Ugo Cavallero, Simona, alla fine io sono diventata amica anche se Uisin e Ugo proprio non si potevano soffrire. Un altro di cui vi voglio parlare è mio barba Carino. Barba in piemontese vuol dire zio. Mio barba Carino era il figlio di Tunin e fratello di Galileo. Di lui, i fascisti scrivevano «tendenze sovversive, insofferenza di disciplina, stringe solidi rapporti con i peggiori elementi della colonia». Che la colonia era l’isola di Ponza dove fu confinato per «insofferenza di disciplina». Sempre per «insofferenza di disciplina», mio barba Carino fu internato in manicomio. Fu uno dei matti del Duce, che matti però non erano. Mio barba Carino viveva con mia nena Rina. Nena in piemontese vuol dire zia. Nena Rina era una donna di chiesa. Lei voleva farsi suora, ma poi si è innamorata di quel giovane che aveva «insofferenza di disciplina». A casa loro, mi ricordo, c’era una candela accesa sotto alla Madonna e sotto alla Madonna, una pila di Unità. Mio barba Carino mi diceva sempre che per lui, valeva l’Editto di Costantino del 313 che dava libertà ai cristiani. Che la prima volta che ho sentito parlare dell’Editto di Costantino del 313 che dava libertà ai cristiani non è stato a scuola, ma da mio barba Carino. Mio barba Carino, quando tornò dal confino a Ponza, aveva una valigia piena di fichi secchi che aveva raccolto a Ponza. A mio barba Carino piaceva la frutta. D’estate, me lo ricordo che girava sul suo motorino e gli piaceva andare a rubare le ciliegie. Una notte ha portato a rubare le ciliegie ai due cugini Attilio e Giuseppe: mentre le mangiavano, Attilio e Giuseppe si sono accorti che quello era il loro albero di ciliegie. Mio barba Carino li aveva portati a rubare le ciliegie a casa loro. Di mio barba Carino, mi ricordo anche quando nella vigna, in vendemmia, litigava con Gasprin, suo cognato. Gasprin era il fratello di nena Rina ed era stato internato a Ventotene con Uisin e Pertini. Gasprin non ha mai avuto il motorino come mio barba Carino: a Fubine, girava con il calesse trainato da un cavallo. Aveva il naso storto perché se l’era rotto da piccolo e sul naso storto, aveva un paio di occhiali rappezzati con lo scotch. Questa storia che nella mia famiglia «si allevano cospiratori», una volta era arrivata anche con una lettera anonima a Giulio Anselmi, che allora era direttore della Stampa. A Giulio Anselmi, gli scrivevano che alla Stampa di Asti lavorava una che era «insofferente di disciplina», era parente di Uisin, il comunista, e suo papà pure era comunista. Vi giuro che è vero. Giulio Anselmi l’aveva chiamato a Miravalle per sapere se era vera questa storia che c’era una «insofferente di disciplina», che era parente di Uisin, il comunista, e suo papà pure era comunista. Anche a quelli della Coldiretti di Asti, gli scappava la maionese quando Giorgio mi chiamava a moderare i dibattiti. Ma Giorgio se ne sbatteva che ero una «insofferente di disciplina», parente di Uisin, il comunista, e mio papà pure era comunista. E mi chiamava lo stesso a moderare i dibattiti alla Coldiretti di Asti. Le storie di Uisin, di barba Carino e degli altri della mia famiglia sono tutte raccontate nei libri di storia, ma c’è chi la storia di Resistenza continua a scriverla in silenzio. In questi giorni di pandemonia, mio cugino Longo Mauro, figlio di Carino e nipote di Tunin, sua moglie Grazia e sua figlia Chiara hanno acceso il loro mulino e stanno lavorando senza sosta per donare La polenta di una volta che producono alle mense dei poveri. Ad oggi, ne hanno già donata più di 4000 chili. L’altro figlio Riccardo vorrebbe esserci a macinare la polenta, ma lui è destinato ad altro. Come il nonno Tunin, che amava Galileo Galilei, Riccardo ama la scienza, è laureato in Fisica nucleare e, dopo il Cern di Ginevra, l’hanno chiamato all’Università dell’Illinois. Oggi ho capito che ogni periodo di storia ha la sua pandemonia e ogni pandemonia ha in sé la sua storia di Resistenza. Buon 25 Aprile a tutti!