L’Anciua

Prima della pandemonia, la puntualità non era il mio forte. Chissà dopo la pandemonia. Non penso che i ritmi della pandemonia migliorino la puntualità. Comunque durante la pandemonia, non arrivo più in ritardo. Non arrivo più in ritardo perché non vado da nessuna parte. Che a Marianna scappa la maionese quando arrivo in ritardo. Ultimamente arrivavo anche più in ritardo di Miravalle, che arrivare più in ritardo di Miravalle devi già essere in ritardo a mille. Rosina, dovrei fare come faceva l’Anciua che metteva l’orologio intorno alla mano e guardava l’ora per dire la predica. L’Anciua era un prete ma non si chiamava Anciua: si chiamava don Vincenzo Vergano. Ma tutti, a Refrancore, lo chiamavamo l’Anciua. Anciua, in piemontese, è l’acciuga. Don Vincenzo assomigliava un po’ a un’acciuga. Pensatelo: piccolo, magro, lo sguardo vispo. Era sempre di corsa, don Vincenzo. Anche a messa e in classe arrivava sempre all’ultimo minuto, trafelato. L’Anciua era professore di greco e di latino. E quando gli chiedevi gli anni, l’Anciua ti rispondeva in latino. Che l’ultima volta che glieli ho chiesti gli anni ho telefonato a Stefano per sapere cosa mi aveva risposto. L’Anciua mi aveva risposto: Agens octogesimum anno. Conduco l’ottantesimo anno. Io non l’avrei mai capito se non c’era Stefano quanti anni aveva l’Anciuà. L’Anciua, oltre al greco e al latino, parlava il dialetto di Refrancore. A mio papà, una volta, l’ha sgridato perché ha detto vice sindic. Vice sindic non si dice. Perché o parli in italiano o parli in dialetto refrancorese. Se parli in dialetto refrancorese è sut sindic, non vice sindic. L’Anciua era l’autista del vescovo. Che, nostro signore, ha sempre messo una mano sulla testa dei poveri vescovi perché l’Anciua non guardava la strada mentre guidava. Mentre guidava, l’Anciua guardava la persona seduta a fianco. Poi guidava veloce e parlava. E mentre parlava, gesticolava e non teneva le mani sul volante. Che, nostro signore, pensa Enzo, ha sempre messo una mano sulla testa dei poveri vescovi. L’Anciua aveva un’altra particolarità: il tono della voce. Sapeva passare da una tonalità all’altra in pochi secondi che sembrava Mina. Che ancora se lo ricordano a Refrancore quando diceva il rosario in fondo alla chiesa, pian piano la voce si alzava. Alla fine l’Anciua urlava e tutti stavano zitti. Me lo vedo affannato anche da piccolo l’Anciua quando il sacrista Baudetta lo chiamava per andare a tirare le campane. L’Anciua andava a tirare le campane con il Dino Piana. Il Dino Piana, da grande, è andato ad abitare a Roma perché a Roma il Dino Piana suonava. Non le campane. Dino Piana suonava il trombone a Roma. E Dino Piana suona ancora oggi il trombone a Roma. Negli anni, sono rimasti amici con l’Anciua. Quando l’Anciua andava a Roma, in Vaticano, andava sempre a trovarlo il Dino Piana. In Vaticano, però, l’Anciua, andavano a prenderlo con l’autista. Che la fama di come guidava sarà arrivata anche in Vaticano e allora gli mandavano l’autista, all’Anciua. Quando andava a trovare il Dino Piana, l’Anciua suonava il campanello e diceva alla Luisa, la moglie del Dino Piana: “Sono il diavolo in persona!”. E la Luisa si spaventava sempre che l’Anciua le diceva che era il diavolo in persona. Il Dino Piana è un po’ più alto dell’Anciua ma è magro-magro come l’Anciua. Gianni Basso, al Dino Piana, lo chiamava Mister Paillard. Perché il Dino Piana, quando andavano a mangiare dopo i concerti, ordinava sempre e solo la paillard. Gianni Basso voleva sempre stare fuori fino a tardi e invece Dino Piana voleva andare a casa presto e gli diceva: ‘nduma a ca’, Gianni, ‘nduma a ca’. Ma Gianni, niente, lui si voleva divertire e poi faceva guidare Dino Piana. Per dirvi com’era Gianni: una sera, Gianni era uscito con Giacomo Bologna di Rocchetta Tanaro. Che quella sera, quando tornavano, c’era una nebbia, ma una nebbia a mille. Giacomo Bologna di Rocchetta Tanaro guidava perché Gianni faceva sempre guidare gli altri. E a un certo punto, Giacomo Bologna di Rocchetta Tanaro non sapeva più dov’era e ha detto a Gianni: scendi e leggi il cartello. Gianni è sceso e ha letto il cartello: c’è scritto “Attenti al cane”. Anche durante la pandemonia, il Dino Piana ha continuato a suonare. Un po’ suona e un po’ ride perché legge che parlo con una gallina di ceramica. Io so un segreto che lui non sa: la Luisa metteva sempre la cipolla nel soffritto. Ma il Dino Piana non deve saperlo che la Luisa metteva sempre la cipolla nel soffritto. Lui proprio la cipolla non la può soffrire. Al Dino Piana gli scappa la maionese ancora adesso se sa che la Luisa metteva sempre la cipolla nel soffritto. E allora voi fate finta che non avete sentito.